Divina invasione

Da tempo volevo parlarvi di Philip K. Dick e dei suoi romanzi, che da un po’ mi stanno appassionando, e finalmente ho trovato l’occasione giusta con l’ispirazione adatta. Sì, perché anche nello scrivere determinati articoli è necessario il giusto mood.

Recentemente ho finito di leggere “Divina invasione”, pubblicato in America nel 1981 (mentre da noi cinque anni dopo), il secondo romanzo della “Trilogia di Valis”.
Io ho la collection che riunisce tutti e tre i romanzi:

  • Valis
  • Divina invasione
  • Trasmigrazione di Timothy Archer

Più in là leggerò anche l’ultimo romanzo.
Oggi siamo qui per discutere del secondo, “Divina invasione”.

Trama:
Sulla Terra assistiamo al primo giorno di scuola di un orfano di nome Manny Asher, accompagnato dallo zio Elias Tate. Il bambino è il figlio di Rybys Romney, una donna che viveva nelle colonie sul lontano pianeta CY30-CY30B; non ha mai conosciuto né lei né il padre Herb Asher, in quanto i due vennero coinvolti in un incidente che uccise Rybys e lasciò Herb in uno stato di morte sospesa.
Manny, nato da una madre clinicamente morta, ha subito qualche leggero danno cerebrale.
A scuola incontra Zina, una bambina che sembra sapere troppe cose su di lui, che lo aiuterà a ricordare cose importanti che lui ha dimenticato.
Nel frattempo Herb, congelato nel suo sonno simile alla morte, rivive le vicende dell’incontro con Rybys, ma una serie di particolari eventi lo faranno dubitare della realtà di ciò che sta vivendo.

Tra i due romanzi della Trilogia che ho letto, “Divina invasione” è quello palesemente fantascientifico che fa uso del più classico e abusato espediente di trama tipico delle storie di questo genere: l’invasione della Terra.
Siamo in presenza della storia del Secondo Avvento in chiave ironica e fantascientifica. Il romanzo, comunque non troppo lungo, è intricato, ricco di personaggi iconici e con un significato ben preciso, con la sua buona dose di colpi di scena, che ovviamente non vi rovinerò.

L’autore nello stendere la sua storia non accinge solo dalla tradizione cristiana, ma soprattutto da quella ebraica, da cui viene presa principalmente l’idea della scissione originaria di Dio.
Siamo davanti a una delle più strane storie di invasione della terra mai scritte, sotto forma di una romanzo altamente citazionista con l’obbiettivo di cercare di cogliere il senso del male che affligge il mondo e l’uomo, inteso come universo, in una vicenda fatta di universi paralleli.

Parlando personalmente, ho trovato questo secondo romanzo più piacevole e scorrevole del primo (Valis) anche se molto più semplice e “palese” nel ciò che vuole lasciarci. Le idee sul divino, la vita dell’uomo e come essa sia vincolata a una forza superiore che deve essere necessariamente maligna e irrazionale, perché se al contrario fosse razionale non si spiegherebbe la presenza del male nel mondo, fanno parte del bagaglio che Dick ci ha lasciato e che in primo luogo affliggeva lui stesso.
Se non avete mai letto niente di questo autore, potete benissimo partire anche da questa collection, perché racchiude pienamente il suo pensiero.
Ma le sue sono opere particolari, che hanno fatto la storia della fantascienza e di film sul filone di Blade Runner. Non prendeteli alla leggera.

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[Shiki Ryougi 両儀 式]

8 pensieri riguardo “Divina invasione

  1. Philip K. Dick! Uno dei miei scrittori preferiti, senza dubbio! Un personaggio molto strano con una vita travagliata, ma con dei guizzi di genio letterario assoluti.

    Anche se ammetto di non aver letto la trilogia di Valis, nonostante conosca da tempo della sua esistenza…

    1. Concordo pienamente!
      E se è uno dei tuoi autori preferiti, allora ti consiglio assolutamente di recuperare la trilogia ;)

  2. Ciao Shiki, 1 commento ed 1 Post Scriptum di richiesta…

    Commento

    Philip K. Dick è un autore fondamentale: il suo contributo a tutto il mondo fantastico contemporaneo è semplicemente immenso e malgrado nelle sue opere molto spesso le idee erano così potenti ed innovative da relegare la stessa prosa in un angolino (molto di quello che ha scritto sembra a volte più la serie di appunti di un veggente geniale che non la finzione di un grande scrittore) non c’è idea circolante oggi in letteratura fanstacientifica o anche solo semplicemente fantastica  e distopica da non essergli in qualche modo debitrice.

    Io ho ovviamente una mia personale classifica dei migliori romanzi di Dick (Deus Irae, Il cacciatore di androidi, Ubik, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Follia per sette clan, Scorrete lacrime disse il poliziotto, Tempo fuor di sesto, Un oscuro scrutare) e tra questi non cè la trilogia di Valis, opera somma della maturità, molto riflessiva ed anche un po’ avvitata sul suo cercare di coniugare le indagini sul teologismo di una vita intera da parte dello stesso Dick, giacché la grandezza dei tre volumi è ancora una volta nella spaventosa identificazione tra il Dick scrittore ed il suo personaggio del detective teologista Horselover Fat, anch’egli schizofrenico, non casualmente: è proprio l’enormità del valore di questo tentativo di Dick di razionalizzare ed unificare tutte le religioni del mondo che mi ha a suo tempo fatto preferire altre opere, ancora una volta con la stessa frustrazione da parte mia di chi riconosce la grandezza del pensiero altrui ma non riesce per i propri limiti (i miei) a seguirne con piacere il flusso nella narrazione.

    Quando in passato, in Deus Irae, si era fermato a lungo sui significati religiosi lo aveva fatto con l’ausilio della penna del suo amico scrittore Roger Zelazny, in una scrittura durata più di 12 anni, inframezzata dall’anfetamina e da altre opere, fatta senza incontrarsi mai e solo per via lettera (ed in quel perido non c’erano ancora le mail!).

    Ti invidio Shiki per la sicurezza con ti stai circondando di nuovi dei e padri putativi spirituali ed ovviamente mi riferisco alla tua cultura costantemente in progress…

    Post Scriptum

    Ho iniziato ad accennare con Butcher, molto alla lontana, di un mio progetto di trattare in una serie di post la fenomenologia narrativa dell’autismo al cinema ed in televisione… Aldilà della moda del momento o della finta ricerca di vera inclusività, è indubbio infatti che si parli sempre più di autismo, ma, come sempre, per lo più immagino con esempi spettacolari… La domanda che mi sono tuttavia posto (a cui non devi dare ora una risposta perchè non la vorrei, non così almeno) è quanto di tutto ciò che viene esibito nei film e nelle fiction nordamericane sia falso o semplicemente enfatizzato o piuttosto ancora selezionato solo perché opportuno?

    Se me lo concedi, mi permetterò ogni tanto di fare sia a te che a Butcher delle domande su esempi precisi, tratti da opere che in qualche modo mi sono piaciute per altri aspetti e le farò a voi in qualità di esperti di cinema e letteratura, nonchè di persone consapevoli della difficile accettazione della neurodiversità da parte della società comune (la gente ha faticato ad adattarsi all’euro, figurati ad un nuovo modo di pensare e vedere il mondo!) e conoscitori delle tendenze attuali riguardo lo studio sulle manifestazioni dello spettro autistico.

    Parto ora, in questo Post Scriptum, con il personaggio di Shaun Murphy, interpretato dall’attore britannico Freddie Highmore nella fiction statunitense The Good Doctor, sviluppata da David “Doctor House” Shore come remake dell’omomina fiction coreana, dove si narrano le vicende di un savant autistico, dalla memoria eidetica e tridimensionale, capace di elaborazioni virtuali dettagliatissime: che ne pensate della figura del dottore?

    Ciò che mi risponderete, lo salverò comunque per futura elaborazione nei miei post, con adeguata citazione sia chiaro, anche se impaginata diversamente.

    1. Posso solo concordare con ciò che hai scritto. Ogni parola. Io sto apprezzando la trilogia di Valis e credo che sia una collezione importante per comprendere bene PK Dick, ma non sufficiente per conoscerne la grandezza. Infatti i miei suoi romanzi preferiti sono Ubik e Le tre stimmate di Palmer Eldritch, appunto, insieme a Blade Runner. Ma ancora non ne ho parlato per una sorta di timore, diciamo.

      “Ti invidio Shiki per la sicurezza con ti stai circondando di nuovi dei e padri putativi spirituali ed ovviamente mi riferisco alla tua cultura costantemente in progress…”

      ^—^
      Non si smette mai di imparare e arricchire la propria cultura. Non è mai troppo tardi :D

      “Ho iniziato ad accennare con Butcher, molto alla lontana, di un mio progetto di trattare in una serie di post la fenomenologia narrativa dell’autismo al cinema ed in televisione…”

      La tua idea è molto interessante! E mi fa anche molto felice.
      Parlare di autismo e neurodiversità è sempre giusto ma più si è accurati e meglio è, anche se può portare a non molto pubblico. Come anche tu ben sai, si ragiona ancora troppo per stereotipi.
      Analizzare i personaggi iconici potrebbe essere un ottimo modo per fare chiarezza.

      Dove dobbiamo risponderti in merito alla domanda che hai fatto su “The Good Doctor”?

      1. Ovunque tu voglia: puoi rispondermi in maniera sintetica o lunga direttamente replicando a questo mio commento, in questo post, dentro al tuo blog oppure con un messaggio privato tramite email oppure in un altro luogo virtuale che decideremo assieme ma è il momento che ti faccia alcune doverose premesse…

        1. Odio ogni forma di aggressività e di potere prevaricante, compresi quelli verbali e psicologici, perciò non sopporto nemmeno coloro che mi interrogano e pretendono da me risposte su qualsiasi argomento solo perché a loro in quel momento va bene così (come quelli che ti telefonano in un momento in cui loro sono in relax e con tanto tempo a disposizione e si offendono se invece io in quello stesso momento non ho tempo da dedicare loro… Cazzo, vorrei la democrazia del tempo! Ma non è possibile ed allora bisogna solo mettersi d’accordo…), mentre io magari ho altro da fare… Perciò, invertendo le parti, non vi chiederei mai di fare una recensione quando lo dico io e perché lo dico io, solo per accorciarmi il lavoro! Ci mancherebbe altro…

        2. Ci sono moltissimi film e fiction dove l’autismo è presentato come un inciso, quasi casuale, altri ancora in cui invece è usato come espediente narrativo dallo sceneggiatore per complicare o risolvere un problema ed altri ancora che lo usano come motore principale di tutto il plot… Io distinguerò sempre, dopo aver chiesto la vostra consulenza, sulla correttezza con cui viene trattato l’argomento, indipendentemente dalla resa artistica finale: la fiction legal-procedural Boston Legal aveva tra i suoi personaggi un avvocato con Asperger soprannominato “manine” per via della sua postura ed era protagonista sia di momenti comici (ma mai buffoneschi) sia di svolte narrative importanti e per me la fiction nel suo complesso rimarrebbe una grande fiction anche se scoprissi che l’autismo è stato trattato non solo in modo superficiale ma anche errato; discorso diverso per un film, ad esempio, come Please Stand By (Tutto ciò che voglio) dove Dakota Fanning interpreta (recitando benissimo) una ragazza autistica che sta scrivendo una sceneggiatura per un film su Star Trek e vive un’avventura on the Road (con svariate banalità)… In questo caso gli autori parlano di autismo direttamente al pubblico ed eventuali fesserie o distorsioni di realtà diverrebbero fortemente diseducative, uccidendo ai miei occhi persino il film stesso.

        Spero di essermi spiegato, Shiki!

        Quindi sono pronto ad una tua proposta.

        Altrimenti io mi permetterò ogni volta che ne avrò la possibilità di chiedere il vostro parere su come a vostro avviso è stato trattato la fenomenologia dell’autismo in alcune opere che vi sottoporrò e voi mi risponderete quando e come riterrete opportuno.

        Discorso diverso, invece, se vi piacerebbe dare un maggiore risalto mediatico alla discussione, perché in quel caso spostiamo tutto in altro ambito e coinvolgiamo altre realtà che potrebbero aiutarci.

        Fatemi sapere cosa preferite fare.

        Bye.

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